La poetica di Emanuela Di Bella è sintetizzata in maniera pregnante e significativa – “immagini che non descrivono come parole che non raccontano ” – da Antonino Portoghese (2015) che descrive puntualmente il procedimento attraverso il quale “richiamando alla memoria l’inesplicabile ritmicità del tempo, inquietudini e turbamenti si srotolano seguendo modalità sempre differenti, per arricchirsi ogni volta di nuove sfumature ed altri significati e sebbene siano inequivocabili segni di presenze e indicazioni di assenze, sembrano sospese dal flusso reale che pure le ha generate. Immagini che si offrono allo sguardo come un frammento strappato alla natura, intorno cui l’artista ha lavorato con certosina attenzione, per lasciare emergere il palpitare della vita con la sua scontata normalità o straordinaria eccezionalità, rinunciando ad ogni tentazione di registrare.”
Emanuela Di Bella ha iniziato la sua attività con il restauro delle vetrate tradizionali, in vetro piombato, ma si è subito interessata a nuovi modi di assemblare e manipolare il vetro. Usa tecniche tradizionali – piombatura medievale, tecnica Tiffany, pittura e sabbiatura – alle quali affianca tecniche innovative che da trent’anni sperimenta accostando al vetro ogni tipo di materiale: dai metalli alla terracotta,dai fossili alla sabbia vulcanica.
L’ho incontrata in occasione di questa sua mostra e da angolazioni umane e professionali diverse ci siamo reciprocamente interrogate sulla medesima problematica e sulle possibilità ad essa connesse: cos’è arte? Senza dubbio il punto di vista dello storico è diverso (deve esserlo) dal punto di vista di un artista che, partendo da un profondo rapporto con la vita, affida ai suoi manufatti il suo patrimonio di inventiva, di sensibilità, di rigore, di fantasia e di energia. D’altra parte condividere un pensiero è essenzialmente ascoltare, confrontarsi e rispettarsi nella comprensione.
Le chiedo se la Sicilia o, meglio, la sicilianità, è centrale nella sua ricerca. Con la consapevolezza di una appartenenza che non è chiusura o superbo distacco mi risponde: “La Sicilia è dentro di me e il mio sguardo è puntato sul cielo, orizzontale, sui paesaggi siciliani, sui monti dell’entroterra, sul mare. Adesso la mia anima dà spazio e colore a paesaggi interiori. Lo sguardo si fa più intimo e sensuale, per percepire ciò che non si vede ma che io sento e rendo visibile. Il Cielo è, da sempre, l’oggetto della mia estatica contemplazione, il nutrimento dell’anima e ne ho voluto fare il soggetto principale dei miei dipinti sul vetro.”
Nel 2012 hai iniziato la serie degli “acquerelli & led”ed è solo l’ultima di una tua costante attività di sperimentazione sul vetro iniziata trent’anni fa: – “Ho scoperto che è la materia più duttile per il mio fare arte – mi dice. – Dopo averlo tagliato, assemblato con piombo, stagno e rame, fuso con altro vetro e materiali organici e inorganici, oggi dipingo il vetro come fosse carta d’acquerello e lo retro-illumino.”
Ecco. La luce dà e assume nei tuoi lavori un senso particolare: – “ Si. – mi risponde – La luce dei led è parte integrante del mio lavoro, è un colore in più nella mia tavolozza. Creo un progetto della luce per ogni singola opera. Ne individuo la profondità, la qualità e la quantità in maniera che l’opera possa vivere una duplice natura. Illuminata e illuminante, trasforma la parete in una finestra aperta. La percezione dello spazio cambia e si fa multidimensionale, un varco oltre lo spazio e il tempo. La dimensione dell’arte e dell’oggetto di design convivono. Accade così che la materia d’arte si fa funzione e l’oggetto d’uso quotidiano si fa arte. Il vetro ed i led mi consentono
una percezione allargata, intensa, dagli occhi al cuore e dal cuore all’anima.”
Questo tema che la ha, per così dire, irretita si esprime attraverso forme diverse di sperimentazione che scaturiscono naturalmente e ulteriormente dallo studio delle precipuità della sua materia prediletta. Alle superfici bidimensionali che in un primo tempo sembravano sufficienti a contenere la sua creatività ha aggiunto forme tridimensionali e più complesse per cui la sua ricerca, oltre che alla progettazione di vetrate per porte e finestre, è approdata alla creazione di gioielli, lampade, portafoto, specchi e mobili, di grande originalità e assoluta unicità.
Marzia Paladino ben racconta come ha reso tridimensionali le sue vetrate “realizzando saldature acrobatiche con vetri lavorati in varie forme creando effetti di traforo o, sovrapponendoli. Con la vetro-fusione l’esplorazione dei materiali si è ampliata puntando sempre più al design. I progetti riguardano vetrate per ambienti privati e pubblici, di grandi o anche piccolissime dimensioni. Così sono nati anche i Gioielli Del Mare, quasi fossero microscopiche vetrate da indossare, nate per caso da vetri raccolti sulle spiagge e vetri creati in laboratorio, fossili, pietre, ceramica, corallo e frammenti di conchiglie: la spiaggia ci offre spesso ottimi spunti. Emanuela continua incessantemente la sua esplorazione perché il vetro è materia e la materia si trasforma.”
E Portoghese, analizzando le sue immagini sottolinea che “ il reale, sfuma nell’intensità del proprio sentire e tutto è riportato ad una dimensione interiore, per creare un effetto ricercato di rarefazione, in cui ogni immagine si dissolve nell’altra, seguendo il ritmo lento ma in crescendo delle emozioni … E’ un lavoro complesso in cui le immagini come parole si equivalgono e si esaltano le une con le altre, innescando meccanismi di rimandi. La pennellata, il colore, le permettono di custodire quelle tracce che corrono il rischio di perdersi, fagocitate dall’incalzare frenetico del presente, e la poesia le consente di lasciare affiorare i dettagli significanti di cui è intessuta l’immagine, perché ad interessarle è la possibilità dell’evocazione, non la realtà del racconto visivo … Emanuela procede per sottrazione. Imprigiona la realtà in tagli decontestualizzanti, costruiti, per affermare prepotentemente l’importanza dell’intervento creativo; esalta un dettaglio elaborato con ricercata accuratezza per rendere manifesto ciò che normalmente sfugge all’attenzione e si pone su una linea di confine, pronta ad avventurarsi in altri territori, superando l’idea tradizionale del realismo fotografico.”
A me sembra che in questo suo continuativo rapporto con una materia nei confronti della quale ha maturato una sapienza tecnica e attraverso la quale manipola con estrema libertà il suo pensiero si esemplifichi il suo personale rapporto con la vita. Il vetro tanto lieve nella sua trasparenza quanto presente malgrado la sua fragilità è supporto che accoglie pensieri più o meno personali, passionali o freddi, razionali o immaginari, i suoi momenti di tristezza, di gioia, di speranza.
Nel mondo dell’arte e della cultura è trasversale, legittima più che retorica, una domanda – chi stabilisce il valore di un’opera d’arte?- che rivela una diffusa esigenza di certezze nella nostra epoca. Io penso che la consapevolezza, la serietà, la tenacia, la ricchezza poetica della ricerca di Emanuela di Bella siano una risposta non retorica a questa domanda.
Catania , 14 novembre 2016
Giuseppina Radice